Chi siamo

La Maglia Etica Antidoping nasce dall’idea del setino Maurizio Marchetti, prestigiose vittorie da dilettante (come il Blockhaus 1988) e ciclista pro negli anni ’90. Nel 1997 fu il primo atleta al mondo a rendere pubblici i propri valori ematici, grazie anche alla collaborazione dei giornalisti romani Valerio Piccioni e Gianni Bondini della Gazzetta dello Sport.

La Maglia Etica fu presentata nel 2012 alla libreria “Pagine di Sport” di Roma, a due passi dal Foro Italico. L’iniziativa di Maurizio ottenne ampio consenso lo stesso anno al “Memorial Giampaolo Bardelli” di Pistoia, il più importante evento italiano sul doping, organizzato dal compianto Renzo Bardelli, figura carismatica dello sport toscano. La maglia è pensata come un premio da assegnare in una classifica a punti nelle gare a tappe più importanti: Giro d’Italia, Tour de France e Vuelta di Spagna. Con traguardi volanti in cui i primi classificati vanno volontariamente al controllo antidoping. Non più soggetti passivi dunque.

La Maglia Etica è stata già sperimentata al Giro della Valle d’Aosta, una delle più importanti gare a tappe under 23 d’Europa. In gare juniores come il Gran Premio Etico del Monferrato nelle Langhe, in Piemonte. Al Gp Falcone di Terracina (LT), organizzato da Tiziano Testa, un’istituzione dello sport pontino. È stata adottata anche alla Gran Fondo di Roma 2013 voluta dall’organizzatore Gianluca Santilli.

“Devo ringraziare l’Unione Nazionale Veterani dello Sport e il dott. Fabio Provera che insieme ai veterani hanno supportato il progetto Maglia Etica tramite la mia associazione “Asd Sapientiae Motusque”.

Ringrazio inoltre Il Presidente del CONI Giovanni Malago’ ha inviato una lettera personale di sostegno all’iniziativa della maglia etica e al mio progetto “La scuola unico antidoto al doping” ormai più che ventennale, con incontri nelle scuole”.

F. Toldo

Dalla Granfondo alla Maglia Etica contro il doping

CICLISMO SI FA STRADA L’INIZIATIVA LANCIATA A SEZZE DA MAURIZIO MARCHETTI MARCO BONARRIGO E’ una storia che parte da lontano, da uno dei periodi più bui della storia del ciclismo: gli anni Novanta. Nel 1997 Maurizio Marchetti, un corridore di Sezze che aveva appena firmato un contratto tra i professionisti, disgustato dal dilagare del doping nelle sue ruote (era l’epoca dello scandalo Festina al Tour, quella delle rivelazioni del Senato francese della scorsa settimana) e da cio’ che vedeva nelle gare cui partecipava chiese pubblicamente di potersi sottoporre a prelievi volontari di sangue per dimostrare la sua estraneità a qualunque pratica proibita.

E allargò il suo invito ai colleghi corridori. In un ambiente dove il doping ematico era pane quotidiano per quasi tutti, la sua proposta venne accolta come se venisse da un alieno. NIENTE PAURA Maurizio chiuse presto la sua breve carriera di atleta ma non arretrò di un millimetro rispetto alle sue idee: capovolgere il concetto di controllore che va a caccia del controllato, far diventare l’atleta un soggetto che non ha paura degli esami, anzi, li cerca come forma.si tutela personale e per l’ambiente.

Per quindici anni Marchetti ha girato senza sosta tra scuole, biblioteche, sale convegni, società sportive del Lazio e del resto d’Italia per portare il messaggio dello sport pulito soprattutto tra i ragazzi. Ottenendo sempre gli stessi risultati: entusiasmo e grande accoglienza tra i giovani.

Gazzetta dello Sport – 30 Luglio 2013

La lotta al doping di Marchetti “Diamo la Maglia”

Una maglia da assegnare nelle corse professionistiche.

Una classifica a punti con tanto di maglia da istituire nelle gare a tappe più importanti al mondo, Tour, Giro e Vuelta. Penso a traguardi volanti a punti dove i primi verrebbero sottoposti al controllo antidoping a fine tappa.

Allora non sara’ più solo l’arrivo a decidere chi dovra’ sottoporsi ai controlli, ma saranno gli atleti stessi a scegliere liberamente di farsi controllare.

Una proposta ingenua e utopica quella di andare a caccia di controlli e non farsi “cacciare” ? Forse ma ricordiamoci che quindici anni fa anche l’idea del passaporto biologico sembrava pura utopia.



Gazzetta dello Sport – 18 Luglio 2012

Tesi in Medicina dello Sport – Scuola e Antidoping

Relatore: Prof. Giuseppe Capua
Correlatore: Prof. Renzo Bardelli


Introduzione
Per la scuola passano milioni di cose. Il problema è che spesso non si fermano, mordono e fuggono dalla coscienza dei ragazzi.

Un’emozione, una curiosità si succede all’altra. come i titoli di un telegiornale. e agli studenti resta poco. Gli stessi professori, stretti fra programma canonico e deviazioni dal tema, faticano.

Anche perché certe presenze vanno, ma non vengono: solo una mattinata, se va bene, e giù il prossimo appuntamento. Ecco perché colpisce il lavoro che ha condotto in questi anni Maurizio Marchetti nelle scuole del Lazio.

Dalla sua esperienza di ciclista professionista insorto contro il conformismo del doping fino a chiedere che le proprie analisi fossero messe in piazza per giurare la sua pulizia. a
vero e proprio seminatore d’oro della materia. Non solo un incontro, ma un certosino desiderio di tornare alla carica. riempire
davvero di contenuti il verbo approfondire, costruire un rapporto di continuita con professori e studenti.

Ma tutto questo senza l’idea di un verbo immutabile. io sono io e voi dovete ascoltare, ma irasferendosi spesso nei panni di chi cerca di ascoltare, capire. E cosi. ecco a fine seminario, lo studente che chiede: “Ma come faccio. dopo l’allenamento sono stanco e ho bisogno di un aiutino™.

E Maurizio a rispondere che ¢’¢ necessita di rispettare i propri limiti anche qui, non violentarli, non pensare che possano essere spostati artificialmente.

Pur riconoscendo l’esistenza di un dilemma. lo stesso che ha affrontato pure lui. nel corso della carriera. quando avrebbe potuto percorrere remunerative scorciatoie ed evito di farlo.

Intanto Marchetti non si presenta a mani vuote. Distribuisce questionari, li raccoglie. li studia. cerca di capire quanto delle parole che ha detto, con le persone che invita, siano state metabolizzate dagli studenti. 11 tutto sull’altare di una certezza: la scuola il luogo dove si combatte la battaglia per uno sport pulito: è da qui che si pud ripartire per costruire una nuova coscienza.

Ma proprio per questo è sbagliato pensare di poter risolvere tutto dentro le mura, con le parole, con i filmati che si propongono durante una lezione di antidoping.

Bisogna saper parlare anche altri linguaggi, per esempio andare a guardare con i propri occhi una tappa del Giro d’Italia o sfidare il traffico del centro di Roma per una “biciclettata coltettiva”.

Perché il doping si combatte cosi, associando la pratica sportiva a valori belli, solari, coinvolgenti.
Facendo si che lo stesso agonismo non sia una sfilata di musi lunghi, di sofferenze, di invidie, ma qualcosa di profondamente diverso.

Sono dodici anni che Maurizio Marchetti traversa questo universo. Lo fa, soprattutto con serietà. È con continuità.

E’uno che non molla mai . E’con persone come lui. spesso isolate, respinte con mille no da istituzioni sorde o indifferenti. che in Italia si pian piano costruita una cultura dell’antidoping.

Perché sarà pure vero che l’istinto del farmaco ha rotto tante frontiere e conquistato nuovi territori. ma non si può negare che in questi anni si è affermata una nuova consapevolezza.

Certo con le inchieste, con i magistrati, con una legge antidoping che ci ha posti all’avanguardia in Europa e nel mondo, ma anche con la capacità, per esempio nelle nostre scuole, di guardare in faccia certi problemi. di provare ad affrontarli, magari risolvendone solo un po’, solo in parte, ma prendendoli di petto.

Verrà così un tempo. speriamo, in cui le sperimentazioni alla Marchetti, il lavoro di tanti professori, la curiosità e la sensibilità di molti studenti, più di quanti si possa pensare, produrranno una svolta definitiva. La lotta al doping deve infatti elevarsi al ruolo di materia curricolare a tutti gli effetti, e far parte di una moderna educazione civica, fatta di tanti problemi concreti e di poca retorica.
E allora ben vengano ricerche. incontri, domande impegnative e risposte difficili.
E’anche così che si vince una battaglia che non è soltanto una questione di campioni, veri o falsi che siano. ma qualcosa che sta nel corpo e nella vita della società.

Valerio Piccioni giornalista della Gazzetta dello Sport.